Statistiche e società: il mercato del lavoro
Nei giorni scorsi sono state pubblicate le statistiche relative al mercato del lavoro in Italia ed in Europa. Come accade ogni volta che vengono resi i noti i dati ufficiali, sui mass media è iniziato il valzer delle cifre e dei numeri e contestualmente il confronto politico sul significato dei dati. Ma cosa significano questi dati? Cosa si intende con tasso di disoccupazione? Come bisogna leggere questi dati? È possibile confrontare i valori fra i diversi Paesi?
Iniziamo quindi a dare una risposta all’ultima domanda: tendenzialmente no, o meglio, è necessario “fare attenzione” nel confrontare i dati dei diversi Paesi. Infatti, seppur i sistemi statistici dei Paesi sviluppati (OCSE) siano abbastanza allineati fra di loro, solamente all’interno dell’Unione Europea viene utilizzato un sistema statistico che può definirsi omogeneo. Sarebbe quindi opportuno evitare di confrontare, per esempio, il tasso di disoccupazione italiano con il tasso di disoccupazione degli Stati Uniti, in quanto i due indicatori sono rilevati in modo leggermente differente.
A questo punto è possibile iniziare a dare una risposta ad un’altra domanda: cosa si intende con tasso di disoccupazione. Per rispondere è necessario introdurre il concetto di “forza lavoro”. Il tasso di disoccupazione, infatti, non viene conteggiato sul totale della popolazione in età da lavoro, bensì sul totale della popolazione che partecipa al mercato del lavoro. Se, per esempio, la popolazione in età da lavoro del Paese Alfa è pari a 100 persone, ma 5 sono studenti, 4 sono casalinghi e 6 vivono di rendite da capitale, la forza lavoro non è composta da 100 persone bensì da 85. Se i disoccupati sono 5, il tasso di disoccupazione sarà pertanto del 5,9% (5 diviso 85). Ipotizzando che il mese successivo anche i 5 studenti inizino a cercare lavoro e 3 di essi riescano anche a trovarlo, gli occupati crescono rispetto al mese precedente (perché agli 80 del mese prima si aggiungono 3 studenti), ma paradossalmente cresce anche il tasso di disoccupazione, in quanto si è ampliata la forza lavoro. Il nuovo tasso, infatti, sarà del 7,7% (pari a 7 disoccupati su una forza lavoro di 90 persone) nonostante gli occupati siano complessivamente più di prima. A questo punto è necessario domandarsi: ma cosa si intende per disoccupato? Come viene classificato, per esempio, colui che ha un lavoro saltuario?
Nell’Unione Europea si adottano le seguenti definizioni:
- Disoccupati sono tutte le persone di età compresa fra 15 e 74 anni (16 – 74 in Italia, Spagna e Regno Unito) che non erano impiegati nella settimana di riferimento, ma che hanno attivamente cercato lavoro nelle quattro settimane precedenti ed erano immediatamente pronte (o comunque lo sarebbero state nel tempo massimo di due settimane) per iniziare a lavorare se si fosse presentata l’opportunità;
- Occupati sono tutte le persone che hanno avuto almeno un’ora retribuita nella settimana di riferimento o erano temporaneamente assenti dal proprio posto di lavoro. Quindi basta un’ora di lavoro retribuito alla settimana per essere considerato occupato;
- Fuori dalla forza lavoro sono tutti coloro che non appartengono a nessuna delle due categorie precedenti.
Negli Stati Uniti le definizioni sono simili, seppur cambi la fascia di età, che inizia da 16 anni. Inoltre, negli USA vengono considerate occupate anche tutte le persone che nella settimana di riferimento hanno svolto almeno 15 ore di attività non retribuita o nell’azienda di famiglia o nell’azienda posseduta da un loro familiare.
In Russia, invece, il numero dei disoccupati viene rilevato in base al numero di iscritti nelle liste degli Uffici del Lavoro. L’iscrizione a tali uffici prevede un onere amministrativo (recarsi personalmente presso gli uffici) e comporta anche l’obbligo di partecipare alle attività di orientamento e selezione organizzate dagli stessi. Pertanto, solamente coloro che mantengono attivo il proprio status vengono considerati “disoccupati” nell’accezione di “persona attivamente impegnata nella ricerca di una nuova occupazione”.
Già da queste prime sintetiche indicazioni si evince che, seppur il dato rilevato sia molto simile fra i diversi Paesi sviluppati, esso non sia completamente comparabile.
È a questo punto possibile analizzare come viene rilevato il dato. In tutti i Paesi sviluppati il dato è frutto di un’indagine campionaria. Nella UE il dato viene rilevato mensilmente e trimestralmente dagli istituti nazionali di statistica tramite interviste telefoniche, interviste personali e questionari in autocompilazione su campioni rappresentativi della popolazione. In Italia la rilevazione viene effettuata su un campione trimestrale di 77 mila famiglie (corrispondenti a circa 175 mila persone). L’attuale rilevazione viene effettuata tutte le settimane dell’anno e non più una singola settimana per trimestre. I dati raccolti vengono poi rettificati in base a variazioni stagionali/annuali al fine di renderli omogenei e confrontabili nel tempo.
Anche negli USA il sistema di raccolta dei dati è simile ma non uguale: la rilevazione è mensile (e non continua come in Italia) e vengono condotte circa 60.000 interviste (180.000 per trimestre). Solitamente la settimana di riferimento include il giorno 12 di ogni mese. Non vengono condotte interviste in autocompilazione. Anche negli USA vengono poi apportati degli aggiustamenti ai dati rilevati affinché siano statisticamente significativi. L’istituto statunitense dichiara una probabilità del 90% che i tassi dichiarati corrispondano ai tassi effettivi.
In Russia, invece, la rilevazione è sul totale delle persone che risultano registrate nelle liste di disoccupazione.
I differenti metodi di rilevazione, sia in termini di metodologia (interviste assistite o autocompilazioni) e ampiezza della popolazione coinvolta, conducono a risultati differenti e tale differenza può essere evidenziata nel confronto degli indicatori italiani del mese di ottobre 2011 (mese del Censimento): dalle elaborazioni dei dati del Censimento emerge un tasso di disoccupazione dell’11,4% mentre dalle elaborazioni relative al mercato del lavoro emerge un tasso di disoccupazione dell’8,7%. Nessuno dei due dati è “giusto o sbagliato”: vengono semplicemente rilevati in modo diverso.
È pertanto indispensabile:
- comparare in serie storica solo lo stesso tipo di indicatore (per esempio, nel caso italiano, o solo il dato del Censimento o solo il dato mensile sul mercato del lavoro);
- prima di confrontare gli indicatori statistici di Paesi differenti accertarsi che siano stati rilevati ed elaborati con tecniche assimilabili.
Inoltre, negli USA gli indicatori elaborati dall’istituto di statistica vengono pubblicati dal Ministero degli Affari Interni, mentre in Europa essi vengono pubblicati direttamente da Eurostat (istituto di statistica) senza alcun passaggio di tipo governativo.
A questo punto è possibile rispondere all’ultima domanda: come leggere i dati sull’occupazione. Per farlo approfondiamo brevemente il mercato del lavoro italiano, basandoci sui dati ISTAT trimestrali destagionalizzati.
Nel periodo “terzo trimestre 2013” – “terzo trimestre 2016” il numero di occupati ha registrato una leggera crescita (+2,8%), corrispondente a circa 622 mila persone. Contestualmente, il numero dei disoccupati è diminuito di circa 87 mila persone. La differenza (pari a 535 mila persone) è imputabile ad un aumento consistente della forza lavoro (cioè delle persone disponibili a lavorare), che nel periodo di riferimento sono aumentate di circa 680 mila unità (quindi sono aumentate in numero superiore rispetto ai nuovi posti di lavoro disponibili). Proprio per via dell’aumento del numero di persone disponibili a lavorare, il tasso di disoccupazione, nonostante la forte crescita del numero degli occupati, è diminuito solo leggermente, passando dal 12,2% del terzo trimestre 2013 all’11,6% del terzo trimestre 2016.
Oltre al tasso di disoccupazione, perciò, un altro elemento di interesse di analisi dovrebbe essere quello della forza lavoro. Nel terzo trimestre 2016 l’ISTAT stima che solamente il 49% della popolazione di età superiore a 15 anni è disponibile a lavorare. Un ulteriore 6,8% viene classificato dall’ISTAT come “potenziale forza lavoro” mentre circa il 44% non è disponibile al lavoro. Traducendo il fenomeno in valori assoluti, in Italia ci sono circa 22.884.000 lavoratori occupati a fronte di una popolazione residente totale di 60.665.551: ogni lavoratore deve perciò creare la ricchezza necessaria per 2,65 persone.
Nei prossimi articoli approfondiremo perciò questa dinamica sociale per verificare anche se e come essa possa incidere sull’entità dell’imposizione fiscale sul lavoro e sul potere di acquisto dei salari. Continuate a seguirci.
Link di approfondimento
http://ec.europa.eu/eurostat/cache/metadata/en/une_esms.htm